Onorevoli Colleghi! - La magistratura costituisce un ordine (di rilievo costituzionale) autonomo e indipendente da ogni altro potere (articolo 104 della Costituzione). Essa, dunque, ai sensi dell'articolo 102 della Costituzione è costituita da una pluralità di soggetti individuali che esercitano la funzione giurisdizionale (i magistrati ordinari) istituiti e regolati da un sistema normativo (l'ordinamento giudiziario).
      Ma la magistratura è anche un potere, come si desume dall'aggettivo «altro» che allude a diversi poteri rispetto ai quali ne viene sancita e tutelata l'autonomia e l'indipendenza (articolo 104 citato).
      L'autonomia è concetto che riguarda il governo dell'ordine secondo le norme dell'ordinamento giudiziario. Ciò significa che tutto il corso della carriera giudiziaria, dall'inizio alla fine, è regolato da leggi, ordinamenti ed organi espressamente a ciò deputati e riconducibili allo stesso ordine giudiziario e non a derivazioni ad esso esterne. A ciò è deputato il Consiglio superiore della magistratura, organo di governo autonomo di rilievo costituzionale costituito per due terzi da magistrati eletti.
      L'indipendenza attiene alla separazione del potere giudiziario dagli altri poteri dello Stato, che, nella tradizionale ripartizione, sono individuati in quello legislativo ed in quello esecutivo. Essa significa che non esiste un primato di alcun potere sugli altri, fondandosi il nostro impianto costituzionale sul policentrismo governato dalla distinzione delle funzioni, anche costituzionali, sulla base del bilanciamento tra i poteri, tra loro variamente collegati ma sostanzialmente indipendenti, la cui unità è riassunta nel Presidente della Repubblica, che nomina il Governo, controlla la legittimità dell'iter legislativo e presiede il Consiglio superiore della magistratura.
      Si comprende, quindi, l'importanza dell'ordinamento giudiziario come legge regolatrice dell'ordine giudiziario nei profili tanto interni alla magistratura, con riguardo alle delicate situazioni inerenti il cursus professionale dei magistrati, quanto esterni ad essa, per l'esigenza di presidiare il dettato costituzionale che vuole preservata l'indipendenza della magistratura rispetto agli altri poteri dello Stato. La relativa normativa rientra, dunque, tra le più delicate che si possano pensare in quanto riguarda anche i rapporti e gli equilibri costituzionali. Ed infatti il Presidente Carlo Azeglio Ciampi, che ha riservato a pochissime situazioni i suoi interventi formali con messaggi alle Camere, è intervenuto proprio a proposito della delega sull'ordinamento giudiziario richiamando l'attenzione su alcuni punti che violavano il dettato costituzionale.
      Dunque, è del tutto naturale che su una disciplina di siffatta rilevanza istituzionale l'attenzione fosse, sia e sarà, straordinariamente elevata.
      La difesa della normativa vigente, approvata nella precedente legislatura dalla maggioranza di allora con il contrasto dell'opposizione, viene sviluppata dalle forze politiche che la approvarono, sotto il profilo che essa costituisce una importante riforma intervenuta dopo che dal 1941, anno cui risale la precedente normativa, nessun organico intervento riformatore era intervenuto.
      Per converso, l'attuale maggioranza, non senza ricordare che la disciplina antecedente alla Costituzione, risalente nell'impianto originario al 1941, ha comunque registrato circa settanta interventi modificativi

 

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intervenuti dopo l'entrata in vigore della Costituzione, ha posto nel proprio programma elettorale del 2006 la sua abrogazione o la sua modifica in grandi parti, a cominciare da quelle che riguardano gli interventi ritenuti maggiormente incisivi sull'autonomia e l'indipendenza della magistratura (quali l'accesso, le funzioni e le carriere, la progressione concorsuale ed i criteri di valutazione; gli aspetti disciplinari; la partecipazione di componenti esterne al governo autonomo dell'ordine, inclusi i consigli giudiziari; la gerarchizzazione degli uffici requirenti; il rapporto tra capi degli uffici giudiziari e dirigenza amministrativa; eccetera).
      Un intervento fu ritenuto necessario dal Consiglio dei ministri e dalla maggioranza che lo sostiene per l'insoddisfazione collegata al contenuto del complessivo impianto normativo in materia e per la fretta connessa con l'imminente sua operatività, che avrebbe comportato rilevanti, ed in qualche caso irreversibili, conseguenze su apparati non pronti a recepire tanto grandi innovazioni destinate a sconvolgere un assetto quanto meno impreparato. L'impostazione originaria del Governo fu di mediazione: non abrogazione ma sospensione, in ossequio ad un principio di salvezza delle situazioni non irritanti sotto il profilo costituzionale; non decreto-legge, ma disegno di legge. Ciò apparve anche come un utile ponte lanciato verso l'attuale opposizione, che, peraltro, per bocca di suoi autorevoli esponenti, aveva fatto della non modifica della riforma ordinamentale, insieme ad altre, una condizione per il voto favorevole all'indulto.
      Il testo del Governo, presentato al Senato della Repubblica il 14 giugno 2006, era, pertanto, volto unicamente a sospendere la vigenza dei seguenti decreti legislativi, emanati nel 2006: n. 160, in materia di accesso in magistratura, di progressione economica e di funzioni dei magistrati e della procedura per la loro applicabilità; n. 106, in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero; n. 109, recante la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni.
      Nella relazione di accompagnamento al provvedimento veniva evidenziato che la concreta operatività di questi decreti legislativi avrebbe comportato la tempestiva riorganizzazione di interi settori dell'apparato giudiziario e, nello stesso tempo, la realizzazione di numerose e complesse attività da parte del Consiglio superiore della magistratura nell'esercizio dei suoi compiti istituzionali. Peraltro, la decorrenza di efficacia dei tre decreti legislativi (fissata al novantesimo giorno successivo alla pubblicazione degli stessi in Gazzetta Ufficiale) ha di fatto coinciso con la scadenza nel luglio 2006 del Consiglio superiore della magistratura in carica, con la conseguenza che, come testualmente evidenziato nella citata relazione, l'ordine giudiziario sarebbe stato privo di un governo autonomo nella pienezza dei suoi poteri, mentre l'operatività dei suddetti decreti legislativi richiedeva l'immediato e fattivo impegno del Consiglio superiore della magistratura nell'attuazione di una normativa completamente nuova rispetto all'impianto anteriore.
      A seguito di un costruttivo confronto tra le forze di maggioranza e di opposizione, e con la mediazione del Governo, il Senato ha confermato l'originaria scelta di sospendere l'efficacia del primo dei tre decreti legislativi (quello n. 160) ed ha modificato nel merito alcuni punti degli altri due decreti legislativi.
      Il provvedimento oggi in esame, approvato in prima lettura dal Senato il 4 ottobre scorso, interviene dunque, come già faceva quello originario, sugli stessi tre decreti legislativi adottati in attuazione della delega contenuta nella legge 25 luglio 2005, n. 150, disponendone, secondo i casi, la sospensione dell'efficacia o la modifica del contenuto, come più diffusamente si dirà.
      La Commissione Giustizia della Camera ha confermato il testo approvato dal Senato.
      Il disegno di legge pervenuto all'esame dell'aula si compone di 4 articoli.
      L'articolo 1, al comma 1, sospende fino alla data del 31 luglio 2007 l'efficacia delle disposizioni contenute nel decreto legislativo
 

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5 aprile 2006, n. 160, uno dei punti nevralgici dell'intera riforma dell'ordinamento giudiziario, in quanto modifica sostanzialmente la disciplina per l'accesso in magistratura nonché la disciplina della progressione economica e delle funzioni dei magistrati. Si tratta di modifiche che innovano l'organizzazione della struttura giudiziaria in maniera tanto rilevante da mettere in discussione la funzionalità organizzativa. A parte le questioni di natura organizzatoria, la scelta del Governo di proporre la sospensione dell'efficacia del decreto legislativo è stata dettata dall'esigenza di approfondimento in merito ad una serie di perplessità in ordine ai princìpi che animano la riforma dell'ordinamento giudiziario. Questa è apparsa richiamare il sistema impiegatizio dell'ordinamento Grandi, in modo tale che rischiava di restare sminuita anche la stessa centralità del Consiglio superiore della magistratura quale organo di governo autonomo dell'ordine giudiziario.
      Inoltre, si è ritenuto che la riforma potesse aggravare quello che è considerato il male cronico e più grave della giustizia: la lentezza dei processi. Ciò perché il sistema della progressione della carriera secondo il metodo dei concorsi verosimilmente comporterebbe un vistoso rallentamento del corso della giustizia, in quanto l'attività di studio ad essi finalizzata distoglierebbe il magistrato dall'esercizio delle sue funzioni per i ritmi sostenuti imposti dalle prove concorsuali di cui verrebbe disseminata la sua carriera. Inoltre, si è nutrito il timore che tale sistema induca uno spirito carrieristico che non è conforme alla magistratura. La stessa divisione delle funzioni delineata dalla cosiddetta «riforma Castelli» è stata ritenuta bisognevole di ulteriori approfondimenti, se non di vigorosi aggiustamenti.
      In sostanza, come più volte è stato ribadito dal Ministro della giustizia, la sospensione di efficacia del decreto legislativo n. 160 del 2006 risponde sia all'esigenza di evitare nell'immediato alla macchina giustizia, già di per sé disastrata, ulteriori incidenze negative, sia alla necessità di avere a disposizione il tempo necessario per elaborare ed approvare le opportune correzioni. Non si tratta, quindi, di una mera operazione distruttiva, quanto piuttosto di un passaggio necessario per arrivare, grazie a successivi approfondimenti, ad una più efficace e corretta riforma dell'ordinamento giudiziario.
      Nel corso dell'esame in Commissione Giustizia, i gruppi di opposizione hanno contestato la scelta effettuata dal Senato di confermare la sospensione dell'efficacia del decreto legislativo n. 160, presentando emendamenti volti a sopprimere il comma 1 dell'articolo 1, che sono stati respinti con il voto contrario dei gruppi di maggioranza, salvo quello del rappresentante del gruppo della Rosa nel pugno, che si è astenuto.
      Il comma 2 dell'articolo 1 apporta alcune modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, recante disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero. Tali modifiche sono state apportate al Senato in forza dell'approvazione di un emendamento del relatore, senatore Salvi, presentato a seguito di un accordo tra gruppi di maggioranza ed opposizione, che mantiene in capo al procuratore della Repubblica la titolarità esclusiva dell'azione penale stemperando tuttavia l'eccessivo vincolo gerarchico contenuto nella riforma precedentemente approvata.
      Le modifiche apportate al citato decreto legislativo consistono nella soppressione, all'articolo 1 del decreto legislativo n. 106 del 2006, delle parole «sotto la propria responsabilità», riferite all'esercizio dell'azione penale da parte del procuratore della Repubblica nei modi e termini previsti dalla legge, e nella sostituzione dell'articolo 2 del citato decreto legislativo, relativo alla titolarità dell'azione penale, con altro testo in cui si stabilisce il principio secondo il quale il procuratore della Repubblica, titolare esclusivo dell'azione penale, la esercita personalmente o mediante assegnazione (e non più delega) ad uno o più magistrati dell'ufficio, con provvedimento che può riguardare anche uno
 

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o più procedimenti o singoli atti di essi. Sostanzialmente, quindi, si instaura un rapporto meno vincolante tra procuratore e magistrato assegnatario, pur mantenendosi per il resto inalterate le rimanenti previsioni, tra le quali quella riguardante la facoltà per il procuratore della Repubblica, con l'atto di assegnazione per la trattazione di un procedimento, di stabilire i criteri ai quali il magistrato deve attenersi nell'esercizio della relativa attività e di revocare l'assegnazione nel caso in cui il magistrato non si attenga ai princìpi stabiliti dal procuratore oppure insorga un contrasto tra i due magistrati circa le modalità di esercizio.
      È stata comunque soppressa la previsione di inserimento nel fascicolo personale del provvedimento di revoca e delle eventuali osservazioni dell'interessato, così come ogni possibile rilevanza disciplinare di tali situazioni.
      Il comma 3 dell'articolo 1 apporta assai più rilevanti e corpose modifiche al decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 recante disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati.
      Anche tali modifiche sono state apportate in forza dell'approvazione di un emendamento del relatore nel corso dell'esame del provvedimento presso l'Assemblea del Senato, presentato a seguito di un accordo tra maggioranza ed opposizione.
      Punti salienti delle variazioni proposte sono rappresentati sia dalla modifica di alcune fattispecie di illecito disciplinare, soprattutto nel senso della precisa tipizzazione, che rappresenta la grande novità del sistema, sia dalla soppressione o dalla più puntuale specificazione di quelle disposizioni che potevano apparire compressive della dignità dei magistrati e della libertà, costituzionalmente garantita anche a loro, di espressione del pensiero.
      In tema di procedimento disciplinare, pur mantenendosi il principio dell'obbligatorietà della relativa azione, si è tuttavia introdotto un meccanismo di filtro che consenta al Procuratore generale di esaminare preventivamente e di archiviare de plano esposti manifestamente infondati o concernenti questioni a prima vista non suscettibili di sanzione disciplinare, senza necessità di impegnare nell'intero procedimento la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. È stato, però, attribuito al Ministro della giustizia il potere di chiedere, entro termini rigorosi, alla stessa sezione disciplinare la fissazione dell'udienza per la discussione orale su affari già oggetto di archiviazione. In accoglimento di alcune sollecitazioni mosse dall'opposizione, è stato poi portato a due anni il periodo di tempo concesso al Procuratore generale per l'esaurimento della fase istruttoria nonché il tempo previsto per la sezione disciplinare per l'emissione della relativa sentenza.
      Venendo all'esame più specifico delle modificazioni apportate al testo del decreto legislativo, si segnala che è stato soppresso l'illecito disciplinare del magistrato consistente nel perseguimento di fini estranei ai suoi doveri ed alla funzione giudiziaria. Viene resa più stringente la formulazione dell'illecito disciplinare relativo alle pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino i soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione, ovvero trattati e non definiti con provvedimento non soggetto a impugnazione ordinaria, quando siano dirette a ledere indebitamente diritti altrui nonché la violazione del divieto di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, riguardante le regole da osservare in tema di rapporti con gli organi di informazione. È stato soppresso l'illecito consistente nel rilasciare dichiarazioni ed interviste in violazione dei criteri di equilibrio e di misura, mentre è stata resa più specifica la qualificazione dell'illecito disciplinare concernente l'adozione di provvedimenti non previsti da norme vigenti ovvero sulla base di un errore macroscopico o di grave ed inescusabile negligenza. È stato escluso che ricorra un illecito disciplinare in presenza di interpretazione
 

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di norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove. Si è intervenuto anche sugli illeciti disciplinari compiuti fuori dall'esercizio delle funzioni, con l'eliminazione di quelli relativi alla pubblica manifestazione di consenso o dissenso in ordine a un procedimento in corso quando, per la posizione del magistrato o le modalità di espressione del giudizio, sia idonea a condizionare la libertà di decisione nel procedimento medesimo, e ad ogni altro comportamento idoneo a compromettere l'indipendenza, la terzietà e l'imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell'apparenza. Inoltre, si è inteso restringere l'area dell'illecito punibile prevedendosi che l'iscrizione o la partecipazione a partiti politici possa qualificarsi come violazione disciplinare solo quando sia sistematica e continuativa e che l'uso strumentale della qualità di magistrato sia punibile solo quando condizioni l'esercizio di funzioni costituzionalmente previste. Di particolare rilievo è stata l'introduzione di una disposizione volta ad escludere, in ogni caso, la configurabilità dell'illecito disciplinare quando il fatto sia di scarsa rilevanza.
      Il provvedimento in esame è intervenuto, modificandola, anche sulla disciplina del procedimento disciplinare. Tra le novità più significative si segnala l'introduzione del potere di archiviazione del Procuratore generale esercitabile in una serie di casi.
      Proprio una delle modifiche apportate al procedimento disciplinare da parte del Senato ha suscitato un acceso dibattito in Commissione, che ha portato i gruppi di opposizione ad abbandonare i lavori della Commissione stessa per protesta contro la scelta della maggioranza di respingere un emendamento volto a correggere ciò che, secondo i proponenti, costituirebbe un errore tecnico-giuridico commesso dal Senato. Si tratta, in particolare, della lettera o) del comma 3 dell'articolo 1, che sostituisce il comma 2 dell'articolo 24, riguardante le impugnazioni delle decisioni della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, stabilendo che la Corte di cassazione decida a sezioni unite civili (invece che penali) entro sei mesi dalla data del ricorso. Secondo l'opposizione, il Senato, nel trasferire alle sezioni unite civili la competenza, avrebbe compiuto l'errore di non modificare anche il comma 1 del citato articolo 24 nella parte in cui prevede l'applicabilità del codice di procedura penale al procedimento relativo alle impugnazioni delle decisioni della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. In tale ottica la mancata modifica del comma 1 sarebbe una grave dimenticanza che renderebbe inapplicabile la disposizione stessa. Su questo punto si è soffermato anche il Comitato per la legislazione, che nel parere reso ai sensi dell'articolo 16-bis, comma 4, del Regolamento, ha inserito una osservazione volta a chiedere alla Commissione di merito di valutare l'opportunità di adeguare il comma 1 del citato articolo 24 a quanto previsto dal comma 2, sostituendo il riferimento al codice di procedura penale ivi previsto con quello al codice di procedura civile.
      La Commissione non ha ritenuto di modificare il testo approvato dal Senato per due distinte motivazioni, entrambe, tuttavia, convergenti nel ritenere il testo non bisognevole di modifica. Sotto un primo profilo, sostenuto anche dal Governo, il rito usato nel processo penale appare essere quello più adeguato per disciplinare procedimenti finalizzati ad accertare la responsabilità di un soggetto rispetto alla commissione di un illecito. Applicare a tale procedimento le disposizioni del codice di procedura civile sarebbe, perciò, sbagliato. Secondo un'altra concezione sarebbe possibile alle sezioni unite civili, in via di interpretazione sistematica della normativa, rifarsi al rito che regola i processi civili. Entrambe tali posizioni, peraltro, suppongono la sufficienza del dato normativo e, quindi, determinano la scelta di respingere l'emendamento volto a modificare il comma 1 dell'articolo 24.
      L'articolo 2 sostituisce il comma 3 dell'articolo 1 della legge 25 luglio 2005, n. 150, recante la delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario.
 

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      La nuova formulazione del comma citato delega il Governo, entro i centoventi giorni successivi all'acquisto di efficacia delle disposizioni contenute nei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega (di cui al comma 1), ad adottare eventualmente decreti legislativi recanti la disciplina transitoria, se necessaria, oltre che le norme eventualmente occorrenti per il coordinamento dei medesimi con le altre leggi dello Stato e l'abrogazione delle norme divenute incompatibili.
      Viene quindi modificato il termine per l'esercizio di questa delega da parte del Governo (precedentemente fissato in novanta giorni dalla scadenza del termine di cui al comma 1 dell'articolo 1, pari ad un anno dall'entrata in vigore della legge n. 150 del 2005) e reso eventuale l'esercizio della delega medesima, poiché subordinato all'effettiva necessarietà della disciplina transitoria e di coordinamento.
      Inoltre, nel riaffermarsi (come già precedentemente previsto) l'osservanza dei princìpi e criteri di cui all'articolo 2, comma 9 della legge, viene stabilito che i decreti legislativi previsti nel comma in esame divengano efficaci dopo quindici giorni dalla loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
      L'articolo 3 modifica l'articolo 1, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 28 agosto 1995, n. 361, convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 1995, n. 437 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative in materia di interventi concernenti la pubblica amministrazione).
      Il testo vigente della disposizione modificata (concernente progetti finalizzati e disposizioni in materia di incarichi ed altre disposizioni) prevede che l'applicazione degli articoli 7, commi 1 e 3, e 7-bis, della legge 24 marzo 1958, n. 195 (come modificata dagli articoli 2 e 3 della legge 12 aprile 1990, n. 74), nella parte in cui rispettivamente prevedono che la segreteria e l'ufficio studi e documentazione del Consiglio superiore della magistratura sono costituiti da funzionari da selezionare mediante concorsi pubblici, è differita alla data di entrata in vigore del nuovo ordinamento giudiziario.
      A seguito della riformulazione, il termine di applicazione delle disposizioni richiamate al citato articolo 1, comma 6, primo periodo, risulta differito alla data di efficacia dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui alla legge 25 luglio 2005, n. 150.
      L'articolo 4 è suddiviso in due commi che prevedono rispettivamente la disciplina applicabile durante il periodo di sospensione dell'efficacia del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e la salvaguardia degli effetti prodotti e delle situazioni esaurite durante la vigenza di quest'ultimo.
      Il primo comma, in particolare, stabilisce che, fino al 31 luglio 2007, ossia fino alla scadenza del periodo di sospensione della legge di riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, continuano ad applicarsi, nelle materie oggetto del citato decreto, le disposizioni del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, nonché le altre disposizioni in materia di ordinamento giudiziario, ed in particolare gli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 16 gennaio 2006, n. 20, relativi alla disciplina transitoria del conferimento degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di legittimità, nonché di primo e secondo grado. Al fine di salvaguardare il principio di certezza delle situazioni giuridiche, il comma 2 dell'articolo in commento fa salvi gli effetti già prodotti e le situazioni esaurite durante il periodo di vigenza del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160.
      Per quanto attiene all'iter legislativo nella Commissione Giustizia, si segnala che nel corso dell'esame preliminare, su richiesta del gruppo di Forza Italia, sono stati sentiti i rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, dell'Organismo unitario dell'avvocatura e dell'Unione camere penali, al fine di acquisire gli orientamenti degli operatori della giustizia circa il contenuto del disegno di legge.
      Su richiesta dei gruppi di opposizione, il Comitato per la legislazione, ai sensi
 

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dell'articolo 16-bis, comma 4, ha espresso il parere sul testo. A parte la predetta questione relativa alla opportunità di conformare o meno il comma 1 dell'articolo 24 al comma 2 del medesimo articolo, il Comitato si è soffermato sulla disposizione prevista dall'articolo 4, comma 1, secondo la quale, a ragione della sospensione di efficacia del decreto legislativo n. 160 del 2006, continuano ad applicarsi le norme da questo abrogate. Secondo il Comitato, la nozione di continuità di applicazione potrebbe non essere congrua rispetto al fenomeno della reviviscenza di norme già abrogate. Altro punto toccato dal Comitato per la legislazione è stato l'articolo 2, in quanto, secondo il Comitato stesso, potrebbero aversi dubbi interpretativi circa la decorrenza del termine per l'adozione di ulteriori decreti legislativi «correttivi».
      La Commissione non ha ritenuto opportuno accogliere tali rilievi, in quanto il primo è sembrato di natura formale piuttosto che sostanziale, mentre il secondo è stato ritenuto non fondato, essendo chiaro che il termine decorre dal momento in cui ha acquistato efficacia il decreto legislativo da correggere anziché dal momento in cui questo acquisterebbe nuovamente efficacia, dopo la sospensione disposta dal provvedimento in esame.
      La Commissione Affari costituzionali ha espresso parere favorevole sul testo, mentre la Commissione Bilancio ha espresso il nulla osta all'ulteriore corso dell'esame, non rilevando alcun profilo di natura finanziaria.
      In conclusione, si osserva che, nel confermare il testo approvato dal Senato, è stata soverchiante la considerazione per cui la celere adozione del testo stesso è imposta dalla necessità di evitare alle strutture del Consiglio superiore della magistratura e del Ministero della giustizia l'impatto, certamente forte, che deriverebbe dall'operatività del decreto n. 160 del 2006, tanto più se esso dovesse successivamente essere modificato con conseguenze sul pregresso.
 

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